Autore: Avv. Giulio Saffioti
Può una Pubblica Amministrazione revocare un finanziamento pubblico cui era stata ammessa un’impresa?
Verrebbe da rispondere positivamente al quesito se pensiamo che esiste il potere di autotutela che consente all’Amministrazione di “tornare sui suoi passi” eliminando il provvedimento in precedenza emanato, laddove sussistano ragioni di interesse pubblico.
In realtà la risposta sarebbe solo parzialmente corretta, in quanto l’esercizio del potere di autotutela non è assoluto e deve, come spesso accade conciliarsi, con altri principi che si rintracciano tanto nell’ordinamento interno quanto in quello comunitario.
L’autotutela, infatti, non può tradursi in un esercizio arbitrario del potere amministrativo di intervenire, mediante un provvedimento di secondo grado, su un provvedimento cosiddetto “di primo grado”, per caducare gli effetti di quest’ultimo.
L’espressione del potere di autotutela, diretto ed immediato corollario della qualifica di un soggetto in termini di ente pubblico, attratto nell’ambito della disciplina pubblicistica può assumere diverse forme.
Al riguardo si è soliti distinguere tra un’autotutela esecutiva che consiste nell’attività rivolta all’attuazione di decisioni già adottate dalla Pubblica Amministrazione (cui si associa il concetto di esecutorietà del provvedimento amministrativo, ossia la capacità ed idoneità di quest’ultimo di produrre effetti nella sfera giuridica del privato anche contro la volontà del privato stesso) ed un’autotutela decisoria, quale attività che si esplica mediante l’emanazione di una decisione amministrativa incidente su atti amministrativi precedentemente emanati dalla stessa Pubblica Amministrazione o su rapporti giuridici di diritto amministrativo.
Proprio nell’ottica di questa indefettibile caratteristica, volendo soffermare l’attenzione sulla tipologia di autotutele decisoria (quella che maggiormente interessa il presente contributo) i due atti tipici che ne rappresentano l’esercizio sono costituiti dalla revoca e dall’annullamento d’ufficio.
In questo scritto, finalizzato alla questione dei finanziamenti pubblici, è opportuno richiamare alla mente l’istituto della revoca, cercando di comprendere quali sono le condizioni legislative entro le quali l’esercizio dello stesso può dirsi legittimo.
Ebbene il dato normativo di riferimento è l’art. 21 quinquies della famosissima legge 241/1990.
La norma afferma, claris verbis, che la revoca deve essere motivata e può essere esercitata solo per ragioni di opportunità, escludendo, implicitamente l’esercizio del relativo potere in relazione ad un provvedimento affetto da vizi di legittimità. Le ragioni di opportunità poc’anzi menzionate possono tradursi nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico alla luce dei quali non appare più opportuna la perdurante efficacia del provvedimento; nel mutamento della situazione di fatto sottesa al provvedimento, tale da giustificare la complessiva revisione della precedente determinazione; nella rivalutazione dell’interesse pubblico originario.
In questi casi, il provvedimento può essere revocato, ma la Pubblica amministrazione non deve solo valutare eventuali mutamenti dell’interesse pubblico. Essa deve necessariamente raffrontare l’interesse collettivo con quello privato. In modo particolare il confronto deve essere realizzato tra ragioni di interesse pubblico e posizione di tutti quei privati cittadini che hanno fatto affidamento sulla validità ed opportunità del provvedimento e, sulla base di tali presupposti, hanno adottato scelte rilevanti per la propria attività (pensiamo ad investimenti economici fatti da imprese privati sulla scorta di un provvedimento amministrativo poi caducato dalla P.A.)
Più nello specifico, il riferimento, nel caso di specie, è al principio di legittimo affidamento del privato, il quale, in buona fede, aveva fatto affidamento sulla legittimità e correttezza del provvedimento poi caducato dal soggetto pubblico.
Dunque, tornando al quesito iniziale, L'annullamento dell'ammissione al finanziamento, se interviene tardivamente e con legittimo affidamento del privato, obbliga l'Amministrazione al risarcimento.
In questi casi L’Amministrazione che si avvede solo tardivamente dell’inammissibilità della domanda di finanziamento pubblico, inizialmente ammesso e poi annullato, pone in essere un comportamento illegittimo, perché in contrasto con i canoni di correttezza (Cons. di Stato, sez. II, 24 ottobre 2019, n. 7246).
Pertanto l’annullamento operato dall’Amministrazione rimane valido perché espressione del potere di autotutela, ma il soggetto pubblico è comunque obbligato a risarcire il danno causato al legittimo affidamento del beneficiario.
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