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DANNI CAGIONATI DA ANIMALI SELVATICI

Autore: Dott. Filippo Tinti


A chi, soprattutto in Toscana, non è capitato di percorrere una strada secondaria e imbattersi, soprattutto la notte, in attraversamenti stradali di animali selvatici, cinghiali e caprioli in primis.


Nel caso in cui l’attraversamento vada a buon fine, si è solo assistito a qualcosa di inusuale, a volte “piacevole alla vista” se l’animale in questione è seguito dalla sua prole. Il problema scaturisce quando tale attraversamento coincide con il passaggio del veicolo, così da provocare un urto con quest’ultimo e un danno alla propria autovettura, da quello più lieve a quello più grave. Nell’articolo in questione si prova a dare una visione chiara, di una casistica che sembra pacifica ai più, ma che ahimè è ricca di contrasti.


La normativa applicabile, in casi del genere è quella del Titolo IX del Codice Civile. Più precisamente l’art. 2043 [1], rubricato “Risarcimento per fatto illecito” o l’art. 2052[2], rubricato “Danno cagionato da animali”. La scelta di quale articolo far valere in giudizio, nella prassi è sempre stata correlata all’orientamento della Cassazione, la quale in materia e nel corso degli anni, ha reputato più corretto applicare un articolo piuttosto che l’altro e viceversa. Alla luce di ciò sembrerebbe già sorgere un gran bel punto interrogativo su quale tutela invocare, con il timore che se ci si avvale di una non sia poi l’altra a trovare applicazione. Altra apprensione è riferita al fatto che gli oneri probatori sono diametralmente opposti, infatti se per l’art. 2043 c.c. l’onere è a carico del danneggiato, e quindi del conducente del veicolo, per l’art. 2052 grava sul “gestore dell’animale”.


Il nodo viene già sciolto, in un certo senso, in sede di verifiche preliminari dal Giudice Istruttore, si ricorda infatti che la qualificazione giuridica della fattispecie compiuta dalle parti non è vincolante per il giudice, il quale è libero di qualificare autonomamente la fattispecie[3] (si veda in proposito, Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza 9 maggio 2024, n. 12714).

Se la questione giuridica, inerente alla fattispecie sembra così risolta, e vedremo successivamente che non è così, lo stesso non lo si può dire sull’individuazione del legittimato passivo, ossia chi è che deve risarcire il danno che ho subito? . Gli animali selvatici sono sempre stati considerati oggetto estraneo a qualsiasi ente, rientranti diciamo nel patrimonio indisponibile dello Stato, e di conseguenza era impossibile ottenere una qualsiasi somma a qualsiasi titolo; quindi, il danno si riparava a proprie spese.


Successivamente si è iniziato a porre l’attenzione sulle competenze della Regione e della Provincia. La legge del 11 febbraio 1992 n. 157[4], su “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, all’art. 1 si dice che: “La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale.”, si pone poi l’attenzione sul riparto delle tutele e della gestione di tali specie all’art. 3: “Le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno 1990, n. 142”. Ancora all’art. 9 si evidenziano le funzioni amministrative che le Regioni possono esperire e che li competono, ma fondamentale  è l’art. 26 della stessa legge che istituisce il “Risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria” così recita: “Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo della fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria, è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi di cui all'articolo 23”. Il punto focale ora si sposta sull’analizzare l’art. 3 della l. 157/1992, e cioè quando un determinato animale in una determinata zona sia gestito dalla Regione oppure se essa ricada sulla Provincia delegata. Tenendo presente il riparto dell’onere probatorio dei due articoli codicistici inizialmente citati, e il riparto di competenza di gestione della fauna selvatica, si può ben capire la confusione che chiunque possa provare.


Delucidazioni sono pervenute dagli Ermellini che con l’ Ordinanza, sez. III Civ, n. 13848/2020, hanno precisato i presupposti per l’attribuzione della responsabilità. La stessa Corte ammette “c’è la necessità di un ripensamento dello stesso criterio di imputazione della responsabilità per i danni da fauna selvatici, dovendosi riconoscere che le incertezze nella identificazione del soggetto che - sul piano delle conseguenze risarcitorie - debba farsene carico sono una conseguenza della scelta iniziale di escludere il regime previsto dall'art. 2052 c.c.. Una scelta, questa, a propria volta, giustificata sull'assunto che la previsione contemplata da tale articolo riguarderebbe, esclusivamente, gli animali domestici e non pure quelli selvatici, in quanto recante un criterio di imputazione della responsabilità basato sulla violazione di un dovere di "custodia" dell'animale, da parte del proprietario o di chi lo utilizza per trarne un'utilità (patrimoniale o affettiva), custodia per natura non concepibile per gli animali selvatici, vivendo essi in libertà” [5].Visto che alle Regioni vengono attribuite specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo sugli altri enti, dalla stessa legge n.157/1992, è pacifico che la responsabilità debba imputarsi proprio alla Regione, ai sensi dell’art. 2052. Si precisa ulteriormente che la proprietà̀ pubblica delle specie protette disposta in funzione della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema determina una situazione equiparabile, nell’ambito del diritto pubblico, a quella della “utilizzazione”, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema, degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario. Di conseguenza, e qui si riafferma, è la Regione a dover essere considerata l’esclusiva responsabile dei danni causati dagli animali giacché se ne serve nel senso prima precisato, salvo che provi il caso fortuito[6].


Il legittimato passivo dovrà dare atto della “prova liberatoria”. La Corte così si esprime sulla dimostrazione del caso fortuito: “Occorrerà, in altri, provare che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile, e ciò anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta”. Principio riaffermato anche dalla Cass.Civ., sez.III, Ordinanza 9 maggio 2024 n. 12714 che, oltre a ribadire il principio di libera qualificazione giuridica del giudice alla fattispecie in questione, ricorda anche che sotto il profilo probatorio, spetta all’ente pubblico dimostrare che la “mossa” dell’animale non era in alcun modo prevedibile e neanche evitabile, nonostante il rispetto di tutte le misure di gestione controllo della fauna selvatica[7].


Gli Ermellini poi precisano che : “la Regione, per parte propria, dovrà fornire la prova del caso fortuito, qualora essa, convenuta in giudizio per il risarcimento, reputi che le misure idonee ad impedire il danno avrebbero dovuto essere adottate da un altro ente, potrà - anche in quello stesso giudizio - agire in rivalsa, senza, però, che ciò implichi modifica, in relazione all'azione posta in essere dal danneggiato, del criterio di individuazione del titolare, da lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio”.


Il malcapitato dovrà quindi, alla luce della Suprema Corte, dimostrare che il danno sofferto sia stato causato da un animale selvatico. Si dovrà quindi illustrare la dinamica del sinistro, il nesso causale tra l’evento danno e la condotta dell’animale selvatico, che deve rientrare tra gli animali oggetto di tutela della legge n. 157/1992 o comunque appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato. In aggiunta si dovrà allegare che il conducente abbia adottato ogni opportuna cautela alla guida per evitare tale animale, dalla velocità, alle condizioni della strada e la zona percorsa.


In questo articolo si è voluto provare a dare uno spettro di una disciplina che per molti anni ha subito vari indirizzi giurisprudenziali condizionando così anche le questioni giuridiche da sollevare in sede giudiziaria. In ogni caso, si è visto, che il contenuto della legge n. 157/1992 ha dato un indirizzo che sembrava pacifico su chi dovesse essere la figura responsabile per tale fattispecie, ma che in realtà si è andata a scontrare sulla questione di diritto di applicabilità di una disciplina o l’altra, con il relativo cambiamento di onere probatorio e giurisprudenziale. Cassazione che in questo caso sono riusciti a dare, negli ultimi anni, un indirizzo che ormai è constante e che sembra essersi consolidato anche con l’ultima pronuncia del 2024.


In definitiva la normativa da invocare in fattispecie del genere è l’art. 2052, e il legittimato passivo in via esclusiva sarà la Regione del luogo ove è avvenuto il sinistro.

 

NOTE

[1] -  Art. 2043 c.c. “Risarcimento per fatto illecito”: Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

 

[2] - Art. 2052 c.c. “Danno cagionato da animali”: Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.

 

[3] - Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza 9 maggio 2024, n. 12714

[4] - Legge 11 febbraio 1992 n. 157,  “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”

 

[5] - Ordinanza, sez. III Civ, n. 13848/2020

 

 

[7] - Cass.Civ., sez.III, Ordinanza 9 maggio 2024 n. 12714


[1] Art. 2043 c.c. “Risarcimento per fatto illecito”: Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

[2] Art. 2052 c.c. “Danno cagionato da animali”: Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.

[3] Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza 9 maggio 2024, n. 12714

[4] Legge 11 febbraio 1992 n. 157,  “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”

[5] Ordinanza, sez. III Civ, n. 13848/2020

[7] Cass.Civ., sez.III, Ordinanza 9 maggio 2024 n. 12714


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