PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA: NORMATIVA E DIRITTI DEL CONCEPITO
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PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA: NORMATIVA E DIRITTI DEL CONCEPITO

Chi può ricorrere alla PMA? Il concepito ha il diritto di conoscere le proprie origini?


Autore: Rosa Tarricone, laureanda in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Roma Tre.


La PMA è da lungo tempo una tematica che ha lasciato spazio a lunghi e irrisolti quesiti e dibattiti, anche in tema di diritto. In uno scenario così mutevole si è reso necessario regolamentare la materia con norme ad hoc, che coniugassero la certezza del diritto con l’etica e con il rispetto della persona umana. Con la Legge n.40 del 2004 il legislatore italiano è intervenuto, dettando specifiche regole che tuttavia hanno imposto innumerevoli limiti e divieti.


Ed in tal senso l’art.1 Legge n.40 ci fornisce una chiara introduzione della finalità della procedura: “…Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.”


Consenso informato, principio della gradualità e della minor invasività sono i presupposti normativamente richiesti per applicare la tecnica artificiale, a cui si potrà ricorrere solo in caso di impossibilità di concepimento naturalmente. La normativa richiede poi di soddisfare ulteriori requisiti soggettivi disposti ex art.5 secondo cui “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”, in ossequio ai criteri bioetici imprescindibili quali la tutela della salute della donna e la dignità della vita umana che ha inizio con la fusione del nucleo della cellula uovo fecondata.


La legge in rassegna è stata reiteratamente criticata in virtù dei suoi numerosi divieti. Dal 2008 ad oggi sono state emesse innumerevoli sentenze che hanno apportato modifiche rilevanti, aventi ad oggetto in particolare le parti ritenute in conflitto con il testo costituzionale.


Tra gli interventi più significativi, ricordiamo:

-la pronuncia n.151 del 2009 con cui è stato possibile rimuovere il divieto di creare più di tre embrioni per impianto. La Corte Costituzionale ha altresì dichiarato incostituzionale l’obbligo di un impianto contemporaneo ed ha stabilito che il trasferimento di embrioni in utero deve essere fatto il più presto possibile per salvaguardare la salute della donna. Secondo il ragionamento della Corte, la scelta degli embrioni da produrre non può essere rimessa in via arbitraria al legislatore, trattandosi, invece, di valutazioni che attengono al campo dell’apprezzamento del medico;

-la pronuncia n.162 del 2014 che ha abbracciato la possibilità di una fecondazione eterologa, espressamente vietata ai sensi dell’art.4 della Legge n.40 ma in realtà già conosciuta nell’esperienza precedente, seppur con rigidi limiti. Con questa sentenza la Corte costituzionale ha fatto cadere il divieto di fecondazione eterologa, cioè della possibilità di ricorrere a uno o entrambi i gameti (maschile e femminile) provenienti da soggetti estranei alla coppia di aspiranti genitori, fermo restando la presenza di una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. Il divieto contrastava, secondo la Corte, con il diritto di autodeterminarsi e di avere figli che è un diritto costituzionalmente garantito dagli articoli 2, 3 e 31 in quanto concerne la sfera privata e familiare. Secondo la Corte, inoltre, il fatto che la coppia non possa avere figli inciderebbe negativamente sulla salute intesa in senso psico-fisico;

-ulteriori novità sono state poi inserite con la pronuncia n.96 del 2015 relativamente al divieto imposto dalla legge n.40 di diagnosi genetica pre-impianto. Quest’ultima ha escluso dal suo ambito di applicazione quelle coppie che, pur non essendo sterili o infertili, fossero portatrici di malattie a trasmissione genetica. Limitando l’accesso alle tecniche di procreazione assistita alle sole coppie sterili e/o infertili, la norma è apparsa in palese contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., poiché determinante una disparità di trattamento tra le coppie doppiamente sfortunate, in quanto portatrici di malattie genetiche nonché sterili, alle quali è stato consentito l’accesso alle tecniche di PMA, rispetto a quelli fertili ma affette da patologie geneticamente trasmissibili a cui, invece, tale accesso, per le medesime finalità, è stato negato;

-degna di nota è anche la sentenza n.84 del 2016 concernente il divieto di sperimentazione sugli embrioni umani. Una pronuncia fondamentale poiché con essa è stata dichiarata l’inammissibilità delle questioni di legittimità sollevate rispetto all’art. 6, comma 3 (divieto di revoca del consenso dei ricorrenti alla PMA, una volta avvenuta la formazione dell’embrione), e all’art. 13 (divieto di sperimentazione sugli embrioni umani). Disposizioni attraverso cui il legislatore ha tutelato in modo assoluto gli embrioni, seppur affetti da patologie e, quindi, non più utilizzabili per i trattamenti, senza contemperare in alcun modo le esigenze della ricerca scientifica e focalizzarsi invece sul concetto di dignità dell’embrione.


Come si può ben vedere, l’impianto normativo originario della Legge n.40 del 2004 ha subito una metamorfosi. La Giurisprudenza sulla scorta di quello che è il continuo progresso tecnologico e le nuove esigenze della società, ha infatti apportato e continuerà ad apportare modifiche, allo scopo di adeguare detta normativa ai principi costituzionali, ponendo attenzione anche ai diritti del concepito.

E proprio a tal proposito, ci siamo chiesti cosa si intende per concepito e se effettivamente gli venga riconosciuta una tutela giuridica.


Ebbene sì, il concepito non è una “cosa” ma una persona, in quanto titolare di diritti personali, anche se non di tutti quelli di cui è titolare colui che è nato. Sia la Legge n.40 del 2004, sia la Corte Costituzionale, riconoscono un principio di tutela giuridica del concepito. Uno dei temi oggi eticamente e giuridicamente più rilevanti riguarda la valutazione della situazione giuridica del concepito. Il diritto alla vita è fondamentale, è il presupposto di ogni altro diritto. E’ un diritto che, inteso estensivamente, si intende iscritto tra i diritti inviolabili di cui all’art.2 della Costituzione.


Ma il concepito ha il diritto di conoscere le proprie origini? Deve o non deve conoscere l’identità del suo donatore? Inevitabilmente rileva il piano psicologico, oltre che giuridico. Diverse infatti sono state con il tempo le interpretazioni e le tesi a riguardo. C’è chi sostiene che il concepito- per possedere il senso di appartenenza e familiarità- debba conoscere le sue origini e le modalità con cui è arrivato al mondo; c’è chi invece preferisce essere silente e privilegiare l’anonimato.

La Legge 40/2004 ex art. 9, comma 3, prevede espressamente che “il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”; come si evince dalla lettura della norma, il legislatore aveva omesso di riconoscere alcuna tutela specifica per quanto concerne il diritto del concepito di conoscere le proprie origini. Ed in tal senso neppure la Corte Costituzionale è stata in grado di colmare questa lacuna normativa. Difatti le pronunce intervenute sul tema si sono limitate a citare la legge vigente in tema di donazione di organi per giustificare il diritto all’anonimato del donatore, successivamente si è limitata a richiamare l’esigenza di tutelare il diritto a conoscere la propria identità genetica emersa rispetto alla legge vigente in materia di adozioni.

In conclusione, nonostante ad oggi non esista una risposta legislativa certa ed univoca rispetto al riconoscimento del concepito a conoscere le proprie origini è evidente che il nostro ordinamento anche alla luce delle normative adottate in altri paesi e delle convenzioni vigenti sia a livello comunitario che internazionale (la Convenzione ONU sui diritti dei fanciulli, ratificata con la legge n.176/2001 e la Convenzione dell’Aia sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata con la legge n.476/1998), sarà ben presto chiamato ad assumere una posizione chiara sul tema, tramite una modifica normativa ad hoc ovvero tramite un intervento della Corte Costituzionale. Le esigenze della collettività ed il continuo sviluppo tecnologico impongo infatti al diritto di fornire nuove risposte, dimostrando ancora una volta di sapersi adeguare alle nuove trasformazioni, nel rispetto e nei limiti di quelli che sono i principi fondamentali della nostra carta costituzionale.


Articolo di Rosa Tarricone con la supervisione dell' Avv. Benedetta Latini.


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