Osservazioni giuridiche e valutazioni di convenienza
Autore: Dott.ssa Alice Reggiani
1. Introduzione
Al fine di poter analizzare l’istituto della rinuncia all’eredità, è opportuno chiarire preventivamente cosa si intenda per “apertura della successione” e chi sia il c.d. chiamato all’eredità.
Ai sensi dell’art. 456 c.c., nel tragico momento in cui un soggetto passa a miglior vita, si apre la sua successione. Tale momento determina, quindi, l’inizio della fattispecie successoria, che può evolversi in differenti modi, a seconda che il defunto (c.d. de cuius) abbia – in vita – disposto con testamento delle proprie sostante patrimoniali oppure nulla abbia disposto.
A prescindere dalle ipotesi sopra menzionate, per un principio di certezza dei traffici giuridici e per evitare che esistano patrimoni privi di titolari, il nostro ordinamento prevede che al momento dell’apertura della successione siano chiamati a succedere nella titolarità del patrimonio del defunto determinati soggetti, che definiamo “delati” o “chiamati all’eredità”. A tali soggetti spetta il diritto di accettare o rifiutare l’eredità a loro devoluta.
2. L’ apertura della successione: accettazione o rinuncia?
L’accettazione dell’eredità comporta confusione del patrimonio del de cuius e dell’erede. L’erede è quindi tenuto a pagare i debiti ereditari anche se il valore degli stessi è superiore all’eredità pervenutagli. Pertanto, insieme al patrimonio del defunto si ereditano anche i debiti, con il rischio di dover pagare di tasca propria, ecco perché la legge consente sempre di scegliere se accettare o meno l’eredità.
Il chiamato all’eredità deve procedere ad una valutazione di convenienza se accettare o rifiutare l’eredità. Non sempre ricevere un’eredità risulta però un vantaggio.
Le ragioni che spingono il chiamato all’eredità a rinunciare possono essere le più varie: sia economiche, ad esempio per il caso di hereditas damnosa ossia un’eredità piena di debiti, sia per motivi morali.
Con la dichiarazione di rinunzia dell’eredità, il chiamato manifesta la propria volontà di non acquistare gli viene offerto per successione dalla legge o dal testamento.
È bene precisare, inoltre, che la rinunzia all’eredità da parte del chiamato non comporta anche la rinuncia alle donazioni a lui effettuate dal de cuius quando era in vita, né dei legati disposti con il testamento. Infatti le qualità di erede e di legatario sono concetti indipendenti tra loro, che possono anche coesistere in capo alla stessa persona.
3. In quale momento è possibile rinunciare all’eredità?
La rinunzia all’eredità può essere esercitata solo dopo l’apertura della successione. Una rinunzia antecedente la morte del de cuius è ritenuta nulla dal nostro ordinamento in forza del divieto di patti successori rinunziativi ai sensi dell’art. 458 c.c.., il quale vieta espressamente qualsiasi atto dispositivo di diritti che derivino dalla successione di un soggetto ancora in vita.
Secondo l'orientamento prevalente, la rinuncia all’eredità deve qualificarsi come rinunzia abdicativa, poiché si dispone di un diritto già acquisito nel proprio patrimonio giuridico (i.e. diritto di accettare l'eredità). In particolare, all'apertura della successione il chiamato all'eredità matura il diritto di accettarla: è proprio tale diritto a formare l'oggetto della rinunzia, e non la quota ereditaria, che rappresenta la quota di patrimonio del defunto che spetta all’erede in caso di accettazione dell’eredità.
I caratteri essenziali della rinunzia sono i seguenti:
i) è un negozio unilaterale per l’evidente ragione che il soggetto dismette il proprio diritto senza la partecipazione di altri soggetti; è un negozio formale come meglio precisato di seguito;
ii) è un atto giuridico revocabile finché la quota del rinunziato non sia acquistata da altri;
iii) è un atto legittimo c.d. puro, che non ammette né condizioni né termini, sussistendo le medesime esigenze di certezza che ricorrono per l'atto di accettazione (in forza del noto brocardo latino semel heres semper heres, ossia una volta eredi, si è sempre eredi);
iv) non è un atto recettizio, in quanto produce i propri effetti nell’esatto momento in cui viene manifestata la volontà di non accettare l’eredità. Da ciò deriva, quindi, che l’atto di rinuncia non deve essere portato a conoscenza di altri soggetti;
v) è un atto di straordinaria amministrazione.
4. Chi sono i soggetti che possono validamente rinunciare all’eredità?
I soggetti legittimati a rinunziare all’eredità sono i chiamati alla successione. Tra questi, è possibile che vi siano dei soggetti incapaci (i.e. minori, interdetti, inabilitati, emancipati, beneficiari di amministrazione di sostegno): in tal caso, perché essi possano validamente rinunciare all’eredità, sarà necessario che i loro legali rappresentanti (tutori, curatori, genitori esercenti la responsabilità genitoriale, amministratori di sostegno) richiedano apposita autorizzazione per il compimento dell’atto al Giudice Tutelare, che dovrà compiere valutazioni di merito e di opportunità.
La facoltà di rinunzia è concessa anche alle persone giuridiche, come enti o società.
5. Le ipotesi di rinuncia espressamente previste dal Codice Civile.
Il legislatore ha previsto due ipotesi di rinunzia gratuita:
i) all'art. 519 secondo comma c.c., è disciplinata la rinunzia fatta a favore di tutti gli altri chiamati e
ii) all'art. 478 c.c., è disciplinata la rinunzia fatta a favore di alcuni soltanto dei chiamati.
La differenza tra le due ipotesi è evidente: nel primo caso, la rinuncia è “veramente” abdicativa. Il soggetto rinunciante dismette dalla propria sfera giuridica il diritto di accettare l’eredità. Differentemente, nel secondo caso, il rinunciante anziché dismettere il diritto all’eredità in maniera “totale”, con la rinuncia a favore di altri soggetti, implicitamente ne dispone, attribuendolo ad altri. Difatti, quest'ultima rinuncia importa accettazione tacita di eredità ai sensi dell’art. 476 c.c..
All’interno del nostro ordinamento, è disciplinata altresì l’ipotesi di rinuncia all’eredità verso corrispettivo (ossia, io chiamato all’eredità rinuncio ad essa verso il pagamento di un corrispettivo). Essa è espressamente prevista all'art. 478 c.c., la cui natura è stata studiata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, giungendo a formulare due orientamenti: secondo alcuni, sarebbe un contratto oneroso estintivo; secondo altri, una vera e propria rinunzia.
6. Entro che termine è possibile accettare o rinunciare all’eredità?
Il nostro legislatore, all’art. 480 c.c., ha disciplinato unicamente la prescrizione del diritto di accettare l’eredità, nulla disponendo per il diritto di rinunciare. A tale mancanza hanno sopperito la dottrina e la giurisprudenza, le quali hanno affermato a più riprese che il termine di prescrizione di 10 anni previsto da tale norma debba applicarsi analogicamente anche al diritto di rinunciare all’eredità.
7. La forma della rinuncia.
La rinunzia all’eredità è un negozio solenne, pertanto è necessario che la dichiarazione del chiamato sia ricevuta da un Notaio o dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione; tale dichiarazione deve essere inserita nel Registro delle Successioni, rappresentando condizione di efficacia nei confronti dei terzi.
La rinunzia fatta in altra forma è nulla, come è nulla anche la rinunzia tacita.
8. È possibile rinunciare solo a parte dell’eredità?
Ai sensi dell’art. 520 c.c., è inammissibile una rinunzia parziale all’eredità.
In particolare, la dottrina si è domandata se, nell’ipotesi in cui il defunto abbia disposto per testamento soltanto di alcune delle sue sostanze, sia possibile rinunciare alla successione devoluta per testamento, accettando contemporaneamente quella devoluta per legge. La risposta che è stata data è negativa poiché la rinunzia non può essere parziale e poiché la delazione (ossia la chiamata all’eredità) è unica, sebbene complessa.
9. Quali sono gli effetti della rinuncia all’eredità?
Gli effetti della rinunzia sono previsti all’art. 521 c.c. Il chiamato che ha rinunciato è considerato come se non fosse stato mai chiamato: egli perde ab origine la sua qualità di erede. Da ciò si desume che la rinuncia ha, quindi, un effetto retroattivo e comporta la totale estraneità del rinunciante al pagamento dei debiti ereditari.
10. Cosa accade alla quota ereditaria rinunciata?
Occorre distinguere l’ipotesi di successione legittima e di successione testamentaria.
Nelle successioni legittime, ai sensi dell’art. 522 c.c., la quota oggetto di rinunzia è devoluta a favore di altri soggetti espressamente nominati dalla legge. In particolare: i) si devolve per rappresentazione ossia a favore dei discendenti di colui che ha rinunziato; ii) in subordine, a favore degli ascendenti a favore dei genitori del de cuius e, infine, iii) se non dovesse ricorrere alcuna delle ipotesi precedenti, è devoluta a favore di coloro che concorrono all’eredità con il rinunciante, la cui quota si accrescerebbe proporzionalmente.
Quindi, se una persona ha deciso di rinunciare all’eredità per non pagare i debiti ereditari, è opportuno che la dichiarazione di rinunzia sia fatta anche da tutti i suoi discendenti, per evitare che l’eredità sia a loro devoluta per rappresentazione e, pertanto, debbano essere loro a pagare.
Nelle successioni testamentarie invece, ai sensi dell’art. 523 c.c., la devoluzione avviene prioritariamente a favore del sostituito se previsto dal testatore; in subordine, l’eredità è devoluta per rappresentazione; se non opera neanche la rappresentazione, opera l’accrescimento delle altre quote ereditarie a favore degli altri coeredi. Qualora, infine, non operi né la sostituzione, né la rappresentazione, né l’accrescimento, la quota ereditaria è devoluta agli eredi legittimi.
11. La rinuncia all’eredità può essere impugnata?
La rinunzia può essere impugnata, se è stata effetto di violenza o dolo, da parte del rinunciante e dai suoi eredi, come anche da parte dei creditori del rinunziante. I creditori lesi da tale atto, infatti, possono procedere con un’azione di natura strumentale e cautelare che li autorizzi a procedere esecutivamente sui beni ereditari fino alla soddisfazione dei loro crediti. Tale azione è volta al recupero dei beni allo scopo di soddisfare i creditori del rinunziante ed è un’azione diretta a reagire ad un atto di abbandono, il cui termine prescrizionale è di cinque anni dalla rinunzia medesima.
12. Vi sono ipotesi in cui il diritto a rinunciare all’eredità decade?
Il chiamato all’eredità può decadere dal diritto di rinunzia in tre ipotesi.
In primo luogo, quando il chiamato all’eredità si trova nel possesso dei beni ereditari e, ciò nonostante, non abbia compiuto l’inventario nel termine di tre mesi dall’apertura della successione. In tal caso, il chiamato diviene erede puro e semplice.
In secondo luogo, quando il chiamato all’eredità è nel possesso dei beni ereditari e, pur avendo compiuto l’inventario non manifesta la volontà di accettare o rifiutare l’eredità con beneficio di inventario nel termine di quaranta giorni dal compimento dell’inventario medesimo, divenendo erede puro e semplice.
Infine, quando il chiamato all’eredità sottrae o nasconde i beni facenti parte del patrimonio ereditario.
13. Conclusioni
In conclusione, è possibile affermare che il diritto di rinunziare all’eredità sia un diritto potestativo attribuito al chiamato all’eredità, che deve essere esercitato nei termini previsti dalla legge, diversi a seconda che il chiamato sia nel possesso dei beni o meno. Inoltre, al fine di evitare di ricevere una eredità piena di debiti, è consigliabile operare una valutazione di convenienza, e solo dopo questa valutazione decidere se rinunciare all’eredità o accettarla. Per coloro che sono indecisi se accettare o rinunciare all’eredità, vi è comunque una terza via: l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, che, sebbene nella pratica sia più onerosa e necessiti di un procedimento più complesso per la sua realizzazione, consente di rispondere dei debiti ereditari solo entro il valore dei beni ricevuti in eredità.
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