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Rapporti genitori-figli, ai tempi del covid

Aggiornamento: 1 dic 2020

Autore: Avv. Cristina Trocker

di Diritto al punto podcast


Uno dei pilastri su cui si fonda il diritto di famiglia è sicuramente quello relativo al rapporto genitori-figli, o meglio relativo alla disciplina della c.d. responsabilità genitoriale di cui il nostro ordinamento individua e disciplina minuziosamente i diritti ed i doveri.

In primo luogo, è lo stesso dettato costituzionale che si propone di disciplinare tale rapporto sancendo all'art. 30 della nostra Costituzione il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire, educare i figli (anche se nati fuori dal matrimonio) e di svolgere la funzione genitoriale in maniera funzionale al benessere dei figli con tutti gli elementi necessari per la loro crescita e lo sviluppo della loro personalità.

Una puntuale disciplina della responsabilità genitoriale è poi contenuta in una serie di disposizioni del nostro codice civile. In particolare, l'art. 315-bis c.c., garantisce il diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni, nonché di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.

Il successivo art. 316-bis c.c. pone a carico dei genitori il dovere di adempiere ai loro obblighi [di mantenimento] nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Ed ancora, l'art. 317 cc ha cura di sottolineare che la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio.

Ora, in una situazione come quella attuale, in cui alla pandemia mondiale si associano fenomeni di limitata mobilità e ridotto guadagno per molti, alcune domande sono drammaticamente sorte: come garantire una corretta applicazione della normativa richiamata di fronte all'isolamento coattivo delle persone, con tutte le conseguenze che ne derivano rispetto alla vita d quotidiana dei più? Sono legittimi gli spostamenti volti a salvaguardare il diritto di visita dei figli da parte del genitore separato o divorziato non collocatario – o di quei genitori separati di fatto che non dispongono di una sentenza che stabilisca il diritto di visita del figlio? Ed ancora, come garantire l'assolvimento del dovere di mantenimento in caso di decurtazione dello stipendio dovuto alla momentanea chiusura delle attività lavorative?

Vediamo brevemente le risposte a questi gravi interrogativi che possiamo trarre da alcuni recenti decreti governativi e dalle decisioni di alcuni giudici.

Va ricordato anzitutto che in seguito al primo Decreto Ministeriale n. 11 dell'8 marzo 2020 alla lettera A, comma 1, articolo 1 (disposizioni successivamente estese all’intero territorio nazionale col secondo DPCM del 9 marzo 2020), che imponeva il divieto di spostamento delle persone salvo che questo fosse “motivato da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute”, era sorto il problema dell’incidenza della citata normativa emergenziale rispetto alla disciplina relativa ai rapporti fra figli e genitori separati, contenuta in provvedimenti provvisori o definitivi, emessi in giudizi di separazione divorzio, affidamento o modifiche degli stessi. Il Governo in data 10 marzo rispondeva prontamente alle questioni sollevate, chiarendo, innanzitutto, che gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l’altro genitore o presso l’affidatario, rientravano tra le “situazioni di necessità”, ed erano quindi consentiti secondo le modalità stabilite dal giudice nei provvedimenti di separazione e divorzio. Pertanto, i genitori erano legittimati ad adoperarsi nell'impegno di facilitare il normale alternarsi dei figli presso ciascuno di loro.

Tutto ciò significava che nell’ipotesi di genitori separati o divorziati, questi dovessero attenersi, oltre che alle regole del buon senso e della tutela della salute del minore, alle disposizioni assunte dal giudice. In caso di genitori separati solo di fatto restava invece affidato alla civile collaborazione tra le parti il compito di regolare il diritto di visita non ancora definito giudizialmente.

In tal senso è anche intervenuto il Tribunale di Milano, sezione nona civile, con provvedimento dell'11 marzo 2020 [reso inaudita altera parte] nell’ambito di un procedimento in via d’urgenza azionato da un padre che si era visto interrompere il diritto di visita dei figli in ragione di un temporaneo trasferimento della ex moglie presso i di lei genitori durante il periodo di quarantena. In particolare, il Giudice, in quella sede, ha prescritto ai genitori il rispetto degli accordi di frequentazione raggiunti in sede di separazione o divorzio, affermandone la prevalenza sulle direttive governative che sanciscono il distanziamento sociale e ritenendo indispensabile per i figli mantenere il rapporto con entrambi i genitori, ai quali in ogni caso è richiesto un esercizio responsabile del proprio diritto di visita, nel rispetto della normativa vigente e con tutte le cautele che l’attuale emergenza sanitaria richiede. Successivamente, però, la situazione emergenziale si è aggravata al punto che il Governo ha assunto una posizione più intransigente ed è intervenuto con l'emanazione di nuovi decreti ministeriali, in particolare il decreto 22 marzo 2020 #iorestoacasa, con cui ha altresì autorizzato le singole Regioni ad emanare ordinanze ad hoc al fine a regolamentare la limitazione della libertà di circolazione delle persone e di contenere la diffusione del contagio da virus Covid-19, prevedendo sanzioni pecuniarie per coloro che si fossero allontanati dalla propria residenza/domicilio per ragioni non strettamente necessarie. In tali provvedimenti l'elemento della ‘situazione di necessità’, è stato superato e sostituito, con quello più restrittivo di ‘esigenze di assoluta urgenza’, tra le quali, in un primo momento, è parso non rientrare il regolare esercizio del diritto di visita tra genitori e figli.

Tale dubbio però ha ricevuto prontamente risposta. Alla pagina FAQ Decreto #iorestoacasa del sito ufficiale del Governo, sezione “spostamenti”, è stato infatti specificato che gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, in ogni caso, secondo le modalità stabilite dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio dovevano ritenersi sempre consentiti.

Rimaneva invece irrisolta una delicata “zona grigia”. Come regolarsi, se i genitori risiedevano in Comuni diversi? Il Decreto Ministeriale del 22 marzo 2020, prevedendo l'ulteriore divieto delle persone di spostarsi “dal Comune in cui attualmente si trovano” poteva far ritenere lecito che il genitore si recasse a prendere ed a riaccompagnare il figlio nell'ipotesi di residenza dei genitori nello stesso Comune, restando invece vietato il trasferimento laddove genitore e figlio si fossero trovati in Comuni differenti. Ed infatti, questa interpretazione più restrittiva, in un primo momento, ha trovato conferma nella giurisprudenza di merito.

In particolare, il Tribunale di Bari, con ordinanza del 26 marzo 2020, chiamato a rispondere alla richiesta di una madre collocataria di sospendere gli incontri tra il figlio e il padre, residente in diverso Comune, in ragione dell’emergenza epidemiologica, ha accolto l’istanza della donna vietando lo spostamento del minore dal genitore non collocatario. Per il Tribunale gli incontri dei minori con i genitori dimoranti in un comune diverso da quello di residenza dei minori stessi non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9.3.2020 e successivi, dal momento che lo scopo primario della normativa che regola la materia, è una rigorosa ed universale limitazione dei movimenti sul territorio, tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori”. Lo stesso orientamento è stato adottato dal Tribunale di Vasto che con decreto del 2 aprile 2020 ha rigettato la richiesta avanzata da un papà di portare a casa propria la figlia con la quale, a causa dell'esplosione del Coronavirus, non aveva potuto trascorrere il tempo stabilito dal calendario. Il giudice, dopo aver valutato scrupolosamente lasituazione attuale, le limitazioni alla circolazione previste per tutelare la salute pubblica e il rischio sanitario a cui la minore poteva essere esposta, ha rigettato l'istanza, riconoscendo al padre di avere videochiamate con la figlia senza limiti di durata, nella fascia oraria compresa tra le 14.30 e le 21.30.

In realtà, al di là di questa giurisprudenza di merito rimasta minoritaria, la giurisprudenza prevalente si è subito orientata a tutela della salvaguardia del diritto di visita dei genitori separati o divorziati o dei separati di fatto, ritenendo il rispetto di tale diritto compreso tra i “comprovati motivi di assoluta urgenza” e legittimando quindi lo spostamento da un Comune all’altro sempreché questo non rappresentasse un pretesto o un tentativo di eludere i provvedimenti resi dall’autorità a tutela della salute. In tal senso, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 07 aprile 2020, riconoscendo la legittimità degli spostamenti del padre per raggiungere i figli minori dalla sede di lavoro, prendendo atto della distanza geografica in essere, oltre a colmare il vuoto normativo nei provvedimenti d'urgenza emanati dal governo rispetto alle incipienti previsioni (e relative norme interpretative che avevano inizialmente chiarito la legittimità dello spostamento sul territorio nazionale del genitore non collocatario ai fini della frequentazione dei figli), ha evidenziato altresì come l'attuale emergenza da Covid-19 non possa intaccare né il diritto dei figli minori a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (e di riceverne cura, educazione, istruzione ed assistenza morale) né il diritto - dovere dei genitori di occuparsi dei figli, come sancito dalla Costituzione all'art. 30.

Anche il Governo ha seguito la stessa linea. Confrontandosi sul proprio sito istituzionale, con la domanda:“Sono separato/divorziato, posso andare a trovare i miei figli?, ha pubblicato la seguente risposta: Sì. Gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro. Tali spostamenti dovranno, in ogni caso, avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse, etc), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori”. Ed è bene sottolineare che il chiarimento governativo riguarda sia i tanti genitori che, non convivendo, non sono ricorsi al tribunale per l’affido dei figli essendoci tra loro pieno accordo sui rispettivi ruoli genitoriali e sul mantenimento degli stessi sia coloro che sono in attesa di predisporre la separazione ma, di fatto, vivono in case separate e talvolta anche con residenza in comuni/regioni diverse.

E, proprio in relazione all'ipotesi di residenza in Regioni diverse, merita far menzione della decisione presa in data 22 aprile 2020 dal Tribunale di Pescara con cui è stata autorizzata la frequentazione di un padre, residente a Roma, con il figlio, residente presso la madre in Abruzzo. Il collegio giudicante ha infatti disposto che il padre potesse tenere e portare con sé a Roma il figlio nonché, alla scadenza della settimana, riportarlo in Abruzzo presso la madre, con implicita autorizzazione a spostamenti da una regione all'altra, ritenendo che “alcuna "chiusura" di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti”.

Ad ogni modo, in questi casi, in particolare nell'ipotesi di residenza in Comuni diversi, è sufficiente una dichiarazione sottoscritta da ambedue i genitori, mentre in caso di disaccordo, l'unica soluzione rimane ricorrere tempestivamente al Tribunale, facendo presente l’urgenza di un intervento del giudice per garantire ai figli il diritto di visita negato dal genitore presso il quale attualmente risiedono.

Per analogia, nonostante il decreto non ne abbia fatto menzione e stante la mancanza di indicazioni da parte delle fonti governative, si può dire che anche i figli maggiorenni, economicamente non autosufficienti e privi di autonomia di mobilità, residenti con il genitore collocatario conservano il diritto di frequentare l’altro genitore, mentre ai genitori spetterà accompagnarli nelle rispettive abitazioni. E’ opportuno che ci sia una richiesta scritta dei figli maggiorenni e la disposizione dei genitori ad accompagnarli presso l’abitazione dell’altro.

Da ultimo è intervenuto il DPCM del 26 aprile, il quale, pur confermando le misure igienico-sanitarie per contenere l’epidemia, a partire dal 4 maggio (e, per adesso, fino al 26 maggio) ha allargano le maglie delle restrizioni con la ripresa di un'ampia varietà di settori produttivi, consentendo altresì le visite a parenti e congiunti e riportando così ildivieto di spostamento da livello comunale a livello regionale. Pertanto, relativamente al diritto di visita genitori-figli, risulta confermato quanto fin qui esposto.

Più complessa è la questione del versamento dell’assegno di mantenimento ai figli in un momento in cui molte attività lavorative sono ferme e per il genitore obbligato non sempre sono disponibili le risorse economiche.

Ecco la domanda: la sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali disposta dal DPCM 22.3.2020 e seguenti, dalle ordinanze regionali, dai decreti dei sindaci, può giustificare il mancato o ritardato adempimento delle obbligazioni di cui agli articoli 156 codice civile, 5 legge n. 898del 1970, 337 ter codice civile, 433 codice civile, fissate in un provvedimento giudiziale?

È doveroso premettere che, per far fronte alle difficoltà economiche e di liquidità generate dal blocco delle attività dei cittadini ed aziende, il Governo ha emanato, d’urgenza, tra gli altri, il Decreto Legge n.18 del 17 marzo 2020, “Cura Italia”, il cui articolo 91 è rubricato “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”.

Questa norma speciale rende giustificabile e scusabile il ritardato o il mancato pagamento a condizione che questo sia diretta conseguenza delle misure autoritative per il contenimento del contagio cosicché se, ad esempio, il DPCM 23.3.2020 impone ad un soggetto la chiusura della propria attività lavorativa, ciò rileva al fine di giustificare l’inadempimento o il ritardato adempimento di obbligazione contrattuale.

L’articolo 91 è però dedicato espressamente alle obbligazioni nascenti da contratto.

L’obbligo di pagamento di assegni di mantenimento od alimenti, invece, non ha natura contrattuale ma si fonda su specifiche norme, volte a garantire assistenza economica al soggetto debole economicamente, anche in caso di disgregazione familiare. Pertanto, l’articolo 91 non può trovare applicazione ad obbligazioni di pagamento nascenti da rapporti di tipo familiare, neppure in via analogica, in quanto norma speciale.

Tuttavia, appare evidente che se il soggetto onerato al versamento dell'assegno di mantenimento, a causa delle limitazioni poste dai DPCM non ha potuto svolgere la propria attività lavorativa, commerciale o professionale o, in qualsiasi modo, abbia visto contrarre le proprie entrate stipendiali mensili, di ciò deve tenersi conto anche in ordine all’obbligo di pagamento di assegni di mantenimento e di alimenti. Del resto, ai genitori incombe l’obbligo o di mantenere i figli “in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la capacità di lavoro, professionale o casalingo” (articolo 316 bis c.c.); l’entità del mantenimento del coniuge debole è determinata in relazione anche ai redditi dell’obbligato (articolo 156, comma 2 c.c.); l’assegno divorzile è determinato anche in ragione del reddito dell’onerato (articolo 5, comma 6, Legge 898/1970); la misura degli alimenti è assegnata in proporzione anche delle condizioni economiche di chi deve somministrarla (articolo 438, comma 2, c.c.). Quindi, se la capacità reddituale ed economica dell’onerato è mutata in ragione delle restrizioni alle attività imposte dalle misure emergenziali, ciò produce inevitabili ripercussioni sulla determinazione del quantum dell’importo dovuto.

Per far fronte alle situazioni indicate, è stata prevista l’introduzione di procedimenti di modifica delle condizioni relative al mantenimento, per ragioni di urgenza

Ove l’obbligo di pagamento di assegni di mantenimento o alimentari sia disposto da un provvedimento giudiziario, l’onerato non può semplicemente sospendere il pagamento o ridurne l’entità. Occorre che egli si rivolga al Giudice per chiedere la riduzione dell’obbligo impostogli, dando prova che la normativa emergenziale ha determinato la contrazione dei suoi redditi ragion per cui si trova nell’impossibilità totale o parziale di assolvere all’obbligo di mantenimento. Incombe quindi uno specifico onere della prova, non essendo sufficiente invocare le limitazioni poste dalla normativa emergenziale alle attività produttive o alla libertà di circolazione delle persone.

Ovviamente, dovrà valutarsi se le misure Covid-19 abbiano ridotto la capacità economica anche dell’altro genitore riguardo agli assegni di cui all'articolo 337-ter c.c., vale a dire del beneficiario di assegno di mantenimento o divorzile, del familiare beneficiario di assegno alimentare, così come dovrà aversi riguardo alle sostanze dell’onerato, degli eventuali coobbligati, e del beneficiario, intese come liquidità disponibili. La riduzione e la sospensione dell’obbligo potrà, infatti, essere disposta solo a fronte della comprovata incolpevole impossibilità per l’onerato ad adempiere in tutto o in parte l’obbligo posto a suo carico.

La questione può essere trattata dai Tribunali nonostante la rinnovata sospensione delle udienze civili fino all’11 maggio 2020, disposta con DL n.23 8.4.2020, in quanto materia esclusa dalla sospensione già disposta con l'articolo 83, 3°comma DL n.18 17.3.2020, cui la norma più recente fa riferimento. La richiesta di modifica dell'ammontare dell'assegno di mantenimento potrà essere comunicata dall’interessato all’altro genitore attraverso gli strumenti esistenti: la negoziazione assistita per genitori collaborativi oppure con ricorso urgente al Tribunale, ex art. 700 c.p.c., che,inaudita altera parte, può ridurre, anche sensibilmente, o sospendere momentaneamente l’assegno di mantenimento in ragione del fatto che l’affidatario usufruisce di un lavoro non dichiarato o perché in virtù di provvedimenti economici degli enti locali o di organizzazioni private dispone di risorse sufficienti per la sopravvivenza. Il giudice può anche disporre l’affido condiviso paritario al 50%, considerando che entrambi i genitori sono a casa, e ciascun di loro provvederà al mantenimento diretto dei propri figli.

Si segnala, però, che i Tribunali hanno variamente interpretato il concetto di “cause relative ad alimenti od obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia”, contenuto nell’articolo 83 3° comma Decreto Legge 18/2020. Taluni lo hanno limitato alle sole questioni alimentari in senso stretto, altri hanno fatto proprio il concetto ampio di obbligazione alimentare delineato dal Considerando 11 del Regolamento (CE) 4/2009 del 18 dicembre 2008 a norma del quale “(...)dovrebbe estendersi a tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i creditori di alimenti. .Pertanto va avvertito che, qualora il Tribunale competente territorialmente acceda alla tesi restrittiva, si può creare per l'onerato una situazione assai pericolosa. Considerando che il mancato pagamento di assegni di mantenimento, per la loro natura alimentare, consente al beneficiario l’apprensione diretta dell’assegno ai sensi dell'articolo 156, 6° comma, Codice Civile e dell'articolo 8, 3° comma, Legge 898/1970 con semplice intimazione al datore di lavoro dell’onerato, l'onerato che non adempie mettendo in atto una condotta penalmente rilevante ai sensi degli articoli 388 e 570 bis Codice Penale, si espone al rischio di subire un procedimento penale, di cui si potrà chiedere la trattazione immediata, nonostante la sospensione delle udienze anche da ultimo disposta, poiché il ritardo può produrre pregiudizio alle parti.



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